09/09/2010versione stampabilestampainvia paginainvia



Destinazione nord: meglio portare il carbone in Russia che in Cina

Tavan Tolgoi è un'enorme miniera a cielo aperto: sei miliardi di tonnellate di carbone a portata di mano nella provincia di Ömnögovi, la più meridionale della Mongolia. Il governo ha deciso di privatizzare il trenta per cento della compagnia che opera nel giacimento, offrendo però a partner stranieri solo il dieci per cento di questa quota, una percentuale che comunque fa gola a colossi come la cinese Shenhua Energy, un consorzio russo con a capo Gazprom e l'australiana BHP Billiton.

Il confine cinese è a soli 200 chilometri dalla miniera. Ci sono tutti gli ingredienti per farne una "perla" della famosa collana con cui il Celeste Impero si espande commercialmente e intanto mette benzina nel suo motore industriale: investimenti in direzione Ulan Bator, carbone in direzione Pechino.
E invece no. Il parlamento mongolo ha approvato un progetto di ferrovia in collaborazione con Deutsche Bahn AG che da Tavan Tolgoi muoverà per 1.100 chilometri in direzione nord (Russia) invece che per 200 verso sud (Cina).
I russi pagano di più? Niente affatto. Altri motivi economici? Qualcuno: il ministro dei Trasporti Battulga Khaltmaa ha dichiarato a EurasiaNet.org che far passare la ferrovia attraverso mezza Mongolia valorizza le risorse locali.

Ma le ragioni per cui i binari non saranno puntati verso sud sono soprattutto politiche.
La Mongolia non vuole dipendere dalla Cina, non vuole diventarne una succursale appetibile solo per le sue risorse naturali. Le critiche di Pechino alla visita mongola del Dalai Lama nel 2002 - in un Paese dove la stragrande maggioranza della popolazione è lamaista - è solo uno degli ultimi episodi di un contrasto storico e culturale lungo almeno mille anni.

Con gli eredi di Gengis Khan, i mongoli conquistarono la Cina ed instaurarono la dinastia Yuan (1271–1368). L'ultima dinastia cinese (anche se mancese), i Qing, restituirono il favore e controllarono la Mongolia per circa 200 anni, fino alla propria dissoluzione nel 1911. Una delle conseguenze di questo ping-pong della storia è che, a tutt'oggi, la maggioranza dei mongoli vive in Cina, nella regione "autonoma" della Mongolia Interna (circa 5 milioni di persone), "Mongolia occupata" per i nostalgici del vecchio impero nomade.

Acqua passata? Niente affatto
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Qualche anno fa, tutta Ulan Bator canticchiava una canzone che faceva: "Chiama i cinesi, chiamali, chiamali, chiamali. E sparagli a tutti, tutti, tutti". Si intitolava "Non superate i limiti, cinesi" (Buu Davar Hujiaa Naraa)  ed era del gruppo rap 4 Zug.
Un recente reportage del Guardian ha invece rivelato al mondo l'esistenza di "Svastica bianca" (Tsagaan Khass), una sorprendente organizzazione neonazista mongola che ha nel mirino proprio i vicini d'oltre Muraglia.
Una delle soap opera più seguite nel Paese si intitola (e non a caso) "La scelta": una giovane mongola deve decidere se sposare un ricco cinese - vecchio, brutto e pelato - per raggranellare i soldi necessari alle cure della madre morente. L'uomo rappresenta perfettamente l'immagine del suo Paese agli occhi dei locali e la "scelta" della ragazza simboleggia in tutto e per tutto quella della Mongolia.

Alla radice di questa sino-fobia, c'è il timore di tre milioni scarsi di persone per la pressione demografica e la penetrazione economica di un miliardo e trecento milioni di ormai ricchi vicini.
A fare ulteriormente da sfondo, un contrasto quasi genetico tra il popolo più sedentario del mondo, i cinesi, e quello più nomade, i mongoli.

Così, Russia e soprattutto Corea - dove si vuole destinare parte del carbone di Tavan Tolgoi - diventano l'alternativa naturale.
L'immensa Siberia russa, demograficamente poco densa, fa meno paura della Cina, e poi Mosca sta a quattromila chilometri di distanza, Pechino a meno di mille. Fin dagli anni Venti del secolo scorso, la Russia è il protettore della Mongolia, nelle cui ferrovie ha tra l'altro una partecipazione. Dalle parti del Cremlino e nei dintorni di piazza Sükhbaatar si condivide inoltre la medesima preoccupazione per l'espansione economica cinese nell'Asia settentrionale.
Quanto alla Corea, in Mongolia c'è un vero e proprio culto per il Paese chiamato romanticamente “Solongos”, arcobaleno, con i cui abitanti esiste anche una certa parentela etnica. Quando non guardano "La scelta", i telespettatori mongoli guardano in genere soap opera coreane.

Tutto tranne la Cina, insomma. A meno che, alla fine, la ferrovia la costruiscano proprio i cinesi, esperti in soluzioni rapide, economiche e prêt-à-porter: carbone mongolo, destinazione russa o coreana, trasporti cinesi.

Gabriele Battaglia

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