15/10/2010versione stampabilestampainvia paginainvia



Storia apocalittica mongola tra postcomunismo ed ecologia

La Mongolia è "terra di miracoli e misteri", come dice David Bellatalla, l'antropologo italiano che qui ha scelto di vivere. E' fuori discussione: terra e cielo si incontrano e confondono non solo negli orizzonti, ma nelle vicissitudini umane.
Quanto alle vite, appunto, non è una grande notizia il fatto che i mongoli pratichino generalmente mille mestieri e quasi mai quelli per cui hanno studiato, se hanno studiato.

Ma Boum è un fenomeno in entrambi i sensi: nel rapporto spirito-materia e in quanto a poliedricità professionale. Ho il sospetto che da una cosa dipenda l'altra.
Il suo nome completo è Boum-Yalagch Olzod. Sul biglietto da visita c'è scritto "Project Implementor", ma mica finisce qui: subito dopo si legge "Advisor of Nomadgreen.org" e se si gira il cartoncino, si scopre che è anche "Main coordinator" della Mongolian Green Coalition (Nogoon Evsel), "Leader" della Mongolian Ecotourism Society e, alla voce "professione", biofisico e tour manager.
Se poi vi allunga il suo secondo biglietto da visita, apprendete che è "Managing Director" di Explore Mongolia ("Ecotourism & Expeditions").

Insomma, un accumulo di cariche che farebbe invidia a qualsiasi manager di Stato di casa nostra, ma Boum è Boum. La sua storia va raccontata.

Classe 1960, negli anni Ottanta studia cibernetica all'università. Va in Germania Est grazie ai rapporti di scambio tra "Paesi fratelli" (socialisti) e si specializza in biofisica. Nel frattempo diventa campione universitario di boxe, finché suo padre - nonostante sia anche lui un ex pugile o forse proprio per quello - gli impone di usare la testa (preservandola) invece dei pugni. Torna in Mongolia e si laurea con una tesi sull'agopuntura, poi riparte per la DDR per un dottorato di ricerca sull'ipnosi.
Ipnosi?
Proprio così. Boum mi dice che se si concentra su quel vaso di fiori posto nel lato sinistro della stanza, può influire sul comportamento della ragazza che sta dalla parte opposta (è l'esempio che mi ha fatto lui, non chiedetemi di spiegarlo).
Tuttavia il Muro crolla prima della fine del dottorato e lui ha pure qualche problema economico familiare (in Mongolia non mancano quasi mai), per cui deve interrompere gli studi e tornarsene a casa senza capire fino in fondo come ipnotizzare quella benedetta ragazza.
"Il mio più grande rammarico" - lamenta - ma tra le righe mi butta lì che oggi, a tempo perso (tempo perso?), segue come ipnotista un pugile mongolo che, diremmo noi, ha bisogno di sostegno psicologico: "Il problema è che noi vinciamo sempre le medaglie d'argento e mai quelle d'oro. Perché? Perché magari prima di nascere uno aveva la testa troppo schiacciata nel ventre della madre, oppure perché qualcuno ha messo in giro delle strane voci sul suo conto che lo turbano. Allora con l'ipnosi, che non significa entrargli nel cervello bensì attivargli delle energie, queste cose si superano".

Ma torniamo alla sua storia. Siamo all'inizio degli anni Novanta e nel grande caos euroasiatico dopo la fine del comunismo, lui si arrangia, anche perché nel frattempo ha messo su famiglia.
"Compravo sigarette in Polonia e le portavo nell'ex Germania Est per venderle ai vietnamiti, oppure contrabbandavo auto europee e, guidandole attraverso la Russia, le vendevo ai mongoli o ai cinesi. In certi periodi, ho fatto fino a 10mila dollari al giorno".
La cuccagna dura finché non sbatte il grugno sulla mafia russa. Lo prendono e lo massacrano di botte. Resta in coma dieci giorni e ce ne mette altri quarantacinque per uscire dall'ospedale. E' il caso di cambiare vita.

Nella nuova Mongolia c'è bisogno di giovani istruiti
e lui è tra i pochi che conoscono le lingue. Lo Stato gli offre un posto come interprete e viene aggregato a un progetto di investimento tedesco. La paga è bassa, Boum è titubante, ma gli fanno presente che ha studiato per ben undici anni a spese della Mongolia e che è ora di ripagare il suo Paese. Accetta.
Il progetto però tramonta in fretta e lui si ritrova di nuovo senza lavoro.
Mamma Germania, questa volta quella riunificata, gli getta ancora una volta il salvagente: un corso di riqualificazione professionale per studenti dell'ex DDR. Riesce a saltare sul carro del welfare renano e si prende un diploma da manager del turismo.
 
Sono gli anni del boom dei Verdi tedeschi. Mentre studia in Germania comincia a frequentare quell'ambiente a cui lui, Mongolo figlio di nomadi delle steppe, si sente culturalmente affine.
Quando nel 1996 torna a casa e apre la sua agenzia turistica eco-friendly, pensa anche di fondare il partito dei verdi nel suo Paese, ma scopre che c'è già: per la precisione esiste dal 1990, terzo raggruppamento a registrarsi nella Mongolia post-comunista e primo partito verde di tutta l'Asia.
Si iscrive proprio mentre i verdi partecipano a un governo di coalizione. Gli affidano incarichi di reponsabilità, soprattutto nella creazione e tutela delle riserve naturali.
Purtroppo nella coalizione di governo domina il Partito democratico, di matrice neoliberista, che comincia a smantellare le aree protette a vendere i terreni. Boum si oppone, litiga, e viene gentilmente accompagnato alla porta.

Con il nuovo millennio comincia a candidarsi al Parlamento. La sua circoscrizione è un "ger khoroolol", uno dei quartieri di yurte che stanno sempre più accerchiando Ulan Bator. "Andavo per strada in bicicletta, vestito tutto di verde, con un megafono attaccato a un pannello solare. E parlavo con la gente. Purtroppo loro pensavano che non fosse una cosa seria. Io però sono convinto che le tematiche ambientali siano il nostro futuro".
Si candida per ben tre volte e viene puntualmente trombato.
"Una volta una vecchietta mi ha chiesto: 'Caro ragazzo, ma se sei povero, perché ti sei messo in politica?'
Perché pensi che io sia povero? - le ho risposto.
'Beh, perché non hai la macchina e vai in giro in bicicletta'.
Le ho spiegato che noi Verdi non sempre usiamo l'auto per una precisa scelta politica. E lei è stata ad ascoltarmi".
Gli chiedo se pensa che la vecchietta l'abbia poi votato.
"Credo di sì, e con lei molta altra gente. Ma il Partito democratico fa i brogli elettorali".

E' un tipo "casa e bottega", quasi alla lettera. Le sue attività principali occupano due sale al piano terra del Palazzo dei matrimoni (Khurimiin Ordon), uno strano oggetto di fabbricazione sovietica che risale agli anni Settanta e dove mentre chiacchieri con lui di massimi sistemi ti può ancora capitare di sentire in sottofondo le marce nuziali di Mendelssohn o Wagner. Sul lato nord c'è la sede politica": la sala che ospita la "coalizione verde" e Nomadgreen; probabilmente è anche il suo uffio elettorale. Sul lato est c'è l'agenzia Explore Mongolia. A volte lo cerchi di qui e lui è di là, ti chiede magari di aspettarlo per qualche minuto nell'uno o nell'altro spazio a seconda che tu sia lì per organizzare un viaggio o per discutere con lui dell'inquinamento a Ulan Bator.

Andiamo insieme in un ger khoroolol a visitare un centro di ascolto, accoglienza e formazione per famiglie povere, creato da SOS Children, uno di quei progetti finanziati dall'estero che proliferano in Mongolia. Boum si indigna perché i nuovi ricchi mongoli non mostrano la stessa attenzione degli stranieri ai problemi sociali del Paese.
Apprendo così che esistono quartieri di yurte "ufficiali" e altri abusivi, dove si riversa la gente della steppa senza alcun criterio o piano regolatore. Secondo Boum il governo dovrebbe controllare ed evitare la creazione spontanea di ghetti, gli abusi edilizi e il degrado.
La sua visione è quella di una Mongolia "germanizzata", basata su quella che lui chiama "social responsability" e sul rispetto delle regole. Un senso di responsabilità che accomuni nuovi ricchi e popolazione rurale: i primi dovrebbero investire nella crescita di un Paese equo e sostenibile, i secondi non dovrebbero inseguire il miraggio consumistico.
Nomadgreen, il sito di giornalismo partecipativo che raccoglie un centinaio di collaboratori, quasi tutti giovani, è lo strumento con cui pensa di suscitare questa coscienza civile. Attraverso il meccanismo virale della Rete e con la partecipazione dal basso, lui e il suo gruppo cercano di mettere in moto processi che non condannino il Paese a un'imitazione cialtrona, un po' pittoresca, del modello neoliberista.

Boum è un visionario con i piedi per terra
. Cerca di fare politica d'ampio respiro, quasi utopistica in senso buono, con le fondamenta ben piantate nel business. E la regola della responsabilità sociale si applica in primo luogo agli affari.
"La nostra rete del turismo ecologico ha due principi fondamentali: impiegare manodopera locale e reinvestire parte dei profitti nella salvaguardia del territorio. Per questo motivo, i clienti finiscono per pagare un po' di più, circa il 10 per cento. Ma in Mongolia i costi sono così ridotti che la cifra è compatibile".
Lui, sua moglie e tutto il giro di collaboratori più stretti sono figli della rivoluzione del 1990, quando il regime comunista crollò senza colpo ferire. Erano studenti, fecero manifestazioni e la Mongolia cambiò. Oggi, da cinquantenni, non hanno perso la voglia di fare la rivoluzione. Da creativi.

L'ultima trovata del vulcanico Boum si chiama "olivello spinoso", un arbusto del genere Hippophae che secondo lui cambierà le sorti della Mongolia. Nell'accampamento-modello di ger che la sua agenzia ha aperto nella riserva di Khustain Nuruu, ne ha piantati sei. Dalla bacca dell'olivello si estrae un olio che - lui dice - previene il cancro al seno. L'unico problema è che ha un sapore schifoso.
"L'olio produce una membrana che protegge le pareti dello stomaco e, visto che lo stomaco è collegato al seno, previene il tumore. E poi consente anche alle donne di essere meno stressate in famiglia, alla sera".
E qui ho il sospetto che Boum abbia a cuore anche il proprio stress oltre a quello delle donne.
"In Giappone va a ruba. Non ha bisogno di tanta acqua, potremmo piantarlo in tutta la Mongolia e venderlo ai giapponesi. Così la gente la smetterebbe con le pecore che sono troppe e favoriscono la desertificazione".
Non sono sicuro di seguirlo più, ma una cosa mi è chiara.
Boum - gli chiedo - vuoi far diventare i mongoli agricoltori? Vuoi cancellare la storia della tua gente?
"Beh le cose cambiano", dice. Poi si corregge parzialmente e afferma di puntare su una Mongolia futura a base di allevamento (un po' di meno), turismo (un po' di più) e olivello (ovunque).

Basta che non ci siano le miniere.
Di recente il suo partito ha preso una piega che gli piace poco: pensa più alle coalizioni che alla coerenza interna. C'è il rischio che si allei con chi è favorevole allo sfruttamento intensivo del sottosuolo.
Per questo motivo, Boum si sta un po' sganciando dall'attività politica strettamente intesa per dedicarsi alla "coalizione verde", l'ala che noi definiremmo movimentista.
Gli chiedo: quante iniziative avete messo in piedi?
"Per ora solo Nomadgreen, perché è meglio finire bene una cosa piuttosto che iniziarne molte e non concluderne nessuna".
Forse sta ancora pensando al suo dottorato in ipnosi.

Quando i confini tra est e ovest si aprirono
, un amico tedesco gli propose: "Ehi Boum, perché non ci buttiamo nel business della vodka in Mongolia?"
Lui ci pensò un po' su e fece questo ragionamento: "Mio padre beve, mia sorella pure, perché devo contribuire a peggiorare i problemi in casa mia?"
E rifiutò. L'amico tedesco non capì e lo accusò di mischiare troppo la politica con gli affari.
Un'altra volta un professore - tedesco pure lui - gli disse: "Tu sei programmato per il successo". Si presume che nella visione "programmatica" di quell'uomo fosse un complimento.
"Solo che - dice oggi Boum ridendo - a me non interessa questo tipo di successo".
E probabilmente tornerà con la sua bicicletta a farsi fare domande strane dalle vecchiette.

Gabriele Battaglia

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